Abbiamo diversi modi per ammirare la realtà che ci circonda.
Nel giugno 1889, poco prima dell’alba, Vincent Van Gogh dipinse quello vedeva dalla finestra della sua stanza del manicomio Saint-Paul-de Mausole a Saint-Rémy-de-Provence, dove si trovava ricoverato per essersi tagliato un orecchio in seguito a un episodio psicotico. Creò, in quel frangente, uno dei suoi più celebri dipinti: la “Notte stellata”, caratterizzata da pennellate circolari così intense e stratificate, da creare un cielo notturno pieno di vortici nubi e mulinelli. Un dipinto straordinario che sembra celare, al suo interno, un mistero, anzi, molto di più, una vera e propria legge matematica, peraltro, tra le più difficili della fluidodinamica, il "flusso turbolento".
Nel 2004, infatti, con il telescopio di Hubble, alcuni scienziati osservando i mulinelli di una nube di polvere attorno a una stella li associarono, istantaneamente, a quelli dipinti nella “Notte stellata”. Questa corrispondenza di immagini, li spinse a studiare nel dettaglio "la luce" presente nelle tele di Van Gogh. Scoprirono così che l'artista olandese, del tutto inconsapevolmente, ma in preda al suo furore creativo e probabilmente psicotico, visualizzò e tradusse sulla tela un preciso modello di strutture fluide turbolente molto vicine all’equazione di Andrej Nikolaevic Kolmogorov che, nel 1941, darà a questa legge matematica la sua forma definitiva. Digitalizzando i quadri, gli studiosi hanno scoperto che la luminosità variava ogni due pixel e dalle curve misurate per la separazione in pixel, sono arrivati alla conclusione sorprendente che i quadri dipinti da Van Gogh, nei periodi di maggiore agitazione psicotica, sembrano straordinariamente simili al fenomeno matematico prima accennato.
Il fisico Werner Heisenberg ha detto: “Quando incontrerò Dio, gli porrò due domande: Perché la relatività? E perché la turbolenza? Sono sicuro che avrà una risposta alla prima domanda”.